LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, NON SAPERE, SAPERE"
creata il 7 marzo 2008 aggiornata il primo settembre 2011

 

 

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Una paginetta su Hegel?

Un'idiozia o un'ingenuità.

Hegel ha scritto su tutto. Non lo si può liquidare in due righe.

Eppure un'escamotage c'è. Hegel ha scritto su tutto quasi tutto, è vero. Eppure su un argomento ha scritto quasi niente: sulla scienza, cartesianamente intesa. L'intersezione tra scienza e idealismo non è vuota, ma quasi. Una paginetta, allora, può bastare a illustrarla.

Questa pagina si collocherebbe meglio in "sapere del tempo", essendo il suo argomento di logica. Il contributo scientifico di Hegel si inserisce, infatti, nell'area di ricerca che convenzionalmente si definisce come quella delle

"logiche non classiche".

Le logiche non classiche – rigorosamente al plurale – sono logiche che non soddisfano interamente i tre assiomi della logica apofantica secondo Aristotele, quella logica logocentrica, funzionale all'ontologia forte di Parmenide dell'essere che è e del non essere che non è. I tre assiomi sono:

assioma di identità: ogni a è a;

assioma di non contraddizione: per ogni a, a e non a non sono entrambi veri;

assioma del terzo escluso: per ogni a, a e non a non sono entrambi falsi .

Le logiche non classiche derivano dall'indebolimento di almeno uno di questi tre assiomi.

L'indebolimento del principio di identità non è molto gettonato. L'unico caso che conosco è la logica del significante secondo Lacan, dove il significante non rappresenta se stesso ma il soggetto per un altro significante. Lacan sviluppò tale logica nel seminario sull'Identificazione, uno dei più confusi e meno riusciti del maestro. Paradossalmente tale logica istituisce, grazie all'autocontraddizione interna al significante, un logocentrismo estremo, dove il significante comanda in modo che è giusto definire totalitario, senza controlli interni. Il doppio legame secondo Bateson è nulla rispetto alla supremazia del significante secondo Lacan.

L'indebolimento hegeliano è quello del principio di non contraddizione che genera la cosiddetta logica dialettica. Non conosco sistemazioni (assiomatizzazioni) scientifiche della logica dialettica. O meglio ne conosco una: la logica del materialismo dialettico, che ha dato prove di sé da dimenticare. Il punto è che il principio di non contraddizione è delicato da smontare, essendo una verità che si autodimostra. Per negare il principio di non contraddizione si deve ancora usare il principio di non contraddizione, come fa giustamente notare Aristotele.

Per altro l'indebolimento hegeliano del logocentrismo non è poi tanto debole. Hegel non rinuncia al primato del concetto, come luogo della verità. Lo dichiara già nelle prime pagine della Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito: "La vera forma della verità viene dunque posta nella scientificità; ciò equivale ad affermare che solo nel concetto trova l'elemento della propria esistenza" (GWF Hegel, La Fenomenologia dello Spirito (1807), vol. I, trad. Enrico De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1960, p. 5. Per i tedeschi e affini: "Die wahre Gestalt, in welcher die Wahrheit existiert, kann allein das wissenschaftliche System derselben sein. [...] Indem die wahre Gestalt der Wahrheit in die Wissenschaftlichkeit gesetzt wird - oder, was dasselbe ist, indem die Wahrheit behauptet wird, an dem Begriffe allein das Element ihrer Existenz zu haben".

L'affermazione hegeliana è in polemica contro il romanticismo, che pretende arrivare con l'intuizione (Anschaaung) direttamente all'Assoluto, dove tutte le vacche sono nere. (Il mandriano si chiamava Schelling). Comunque, quella di Hegel è un'affermazione terroristica. Non lascia spazio all'inconcettuale e al non categorico. Il concetto è sempre al lavoro. Comincia ponendo la tesi (a) come fondamento. Poi la toglie attraverso l'antitesi (non a). Infine, recupera entrambi (a e non a) nella sintesi. Così, si dimostra tutto e il contrario di tutto. Nell'hegelismo non c'è spazio per l'inconcettuale, il non categorico, l'indimostrabile o semplicemente il gioco democratico tra maggioranza e minoranza . Dall'hegelismo possono derivare solo totalitarismi, che riassumono in sé tutto e il contrario di tutto, come la storia ha mostrato addirittura in ideologie che pretendevono capovolgere Hegel (al prezzo di qualche genocidio preliminare). La legge della storia idealistica è l'autoimporsi dell'Assoluto. Duns Scoto chiamava questa legge ex falso quodlibet. All'analista importa riconoscere che l'hegelismo non ospita l'oggetto della scienza moderna – l'infinito – che è essenzialmente non categorico. L'hegelismo è tutto da dimenticare. (Gran parte del lavoro del sapere è l'oblio).

Il guaio della logica classica sta a monte della sua assiomatizzazione e precisamente sta nel binarismo forte, da cui l'assiomatizzazione presentata dipende. Tra le conseguenze infelici del binarismo forte ne segnalo una, la meno grave ma tra le più insidiose. Se vale il binarismo forte, dove il vero è sempre contrario del falso e il falso è sempre il contrario del vero, allora c'è spazio per un procedimento deduttivo noto ai logici medievali come consequentia mirabilis. In realtà, è un trucco poco mirabile.

Mi spiego. Se vale p, allora vale p, per il principio di identità. Se da non p riesco a dedurre p, allora p vale sempre, perchè non ci sono altre alternative oltre a p e a non p (principio del terzo escluso). La consequentia mirabilis, (se da non p si deduce p, allora si afferma p), è lo strumento tecnico per ridurre l'epistemologia – con infiniti stati epistemici – a ontologia – con solo due stati ontici, l'essere e il non essere. Il guadagno non è da poco: si passa dall'infinito al finito, dall'incerto al certo. Non stupisce che se ne avvalgano i teologi per dedurre le loro tautologie.

Scientificamente più feconda, ma da subito osteggiata e tuttora non ben compresa, è la proposta intuizionista di Brouwer di sospendere la validità del principio del terzo escluso. La logica non classica che ne deriva è una logica fortemente connotata in senso epistemico. Molti teoremi intuizionisti si interpretano, infatti, come teoremi epistemici dell'inconscio, a patto di considerare il principio del terzo escluso come operatore epistemico.

(Vedi il mio Una matematica per la psicanalisi)

L'operazione è sensata. A vel non A si interpreta epistemicamente come alternativa del sapere: "o so o non so". La migrazione del principio del terzo escluso dal piano ontico a quello epistemico realizza finalmente il superamento della posizione scettica. (Vai alla pagina Scettici). Lo segnala il guadagno epistemico certo: se so, so; se non so, so ancora, cioè di non sapere. Si formalizza così il discorso cartesiano in termini chiari e distinti, che vanno al di là della retorica di Cartesio, ponendo il dubbio all'origine della scienza:

dubium initium sapientiae.

Passando dalla logica degli enunciati a quella dei predicati, l'intuizionismo sospende il principio della dimostrazione non costruttiva di esistenza. Per dimostrare che un oggetto x, caratterizzato da una data proprietà alfa, esiste devi o costruirlo o formulare l'algoritmo per localizzarlo. Non basta dimostrare che è contraddittorio supporre che tutti gli oggetti x non godono della proprietà alfa.

Il succo dell'intuizioninismo è, come direbbero i fisici,

la rottura della simmetria tra vero e falso,

tipico della logica aristotelica. Per Aristotele esiste una netta simmetria tra vero e falso. Il vero è sempre il contrario del falso. Il falso è sempre il contrario del vero. Così il binarismo forte della logica supporta il binarismo categorico dell'ontologia parmenidea: l'essere è, il non essere non è.

L'intuizionismo, avendo optato per l'epistemologia, si mostra indifferente all'ontologia. O meglio, accetta l'ontologia in quanto condizionata dall'epistemologia. Per l'intuizionismo, infatti, il vero e il falso non sono solo questioni ontologiche. Un enunciato è vero, PER TE, se conosci la dimostrazione. Un enunciato è falso, PER TE, se non conosci la dimostrazione. Certamente questo aspetto soggettivistico della logica intuizionista ha ostacolato la sua ricezione in ambiti positivisticamente pregiudicati. E' successo all'intuizionismo quel che è successo, mutatis mutandis, alla teoria soggettivistica delle probabilità. Con la differenza che il soggettivismo in probabilità si è ormai affermato – in Italia grazie al lavoro di Bruno de Finetti – mentre l'intuizionismo è ancora guardato con sospetto.

L'asimmetria intuizionista tra vero e falso ha riflessi sia a livello sintattico sia a livello semantico. Mi limito qui al livello sintattico. Nella deduzione di un teorema per assurdo, che esordisce supponendo falso l'enunciato da dimostrare, succede di ricavare enunciati veri da enunciati falsi. In logica classica ciò non fa problema. La falsità della negazione è sempre la verità dell'affermazione. In logica intuizionista, invece, bisogna rispettare delle restrizioni, precisamente sulla falsità della negazione, dell'implicazione e della generalizzazione. Per esempio, la falsità della negazione è la verità dell'affermazione, ma a patto di cancellare dalla deduzione TUTTE le falsità contestualmente dedotte.

La ragione?

Epistemicamente parlando, il falso è un vero parziale: del falso non sai la dimostrazione completa. Quindi non puoi dedurre dal falso tutto quel che puoi dedurre dal vero. Devi dedurre di meno.

Un esempio.

Provo a dedurre intuizionisticamente il principio del terzo escluso.

Comincio falsificandolo. Scrivo:

FALSO(p vel non p).

Quando un alternativa è falsa?

Semplice, quando entrambi i membri sono falsi. Allora scrivo:

FALSO p, FALSO non p.

Ho finito?

No.

Devo dedurre ancora qualcosa da FALSO non p.

Che cosa?

Semplice, quel che mi ha insegnato Aristotele, cioè VERO p.

Ma qui incappo nella restrizione intuizionista. Se scrivo VERO p devo cancellare FALSO p, ottenuto in precedenza. Allora scrivo:

VERO p,

che non è una contraddizione come

FALSO p, VERO p.

Risultato: non sono riuscito a dimostrare che il principio del terzo escluso è un teorema intuizionista (ma è un teorema della logica classica, dove non valgono le cancellazioni delle falsità). Ho buone ragioni per sospettare che il principio del terzo escluso non sia un teorema intuizionista. Per esserne sicuro dovrei trovare un controesempio, ma per questo devo passare alla semantica della logica intuizionista. Non lo faccio qui perchè mi interessa procedere.

La mossa intuizionista è feconda. Apre la strada a ulteriori indebolimenti. Infatti, Johansson ha scritto una logica minimale, adottando una versione della negazione, già nota agli Stoici. La negazione di A è ciò che di A implica il falso. In formule:

non A = se A allora FALSO.

UnUnitamente al principio che VEROFALSO non è una contraddizione vera e propria – in omaggio alla concezione che trova del vero anche nel falso – in logica minimale si dimostra che vale il principio di contraddizione, ovviamente in versione stoica. Tuttavia, la contraddizione non produce il collasso del sistema, nel senso che dalla contraddizione non si deduce tutto e il contrario di tutto, secondo il teorema classico di Duns Scoto: ex falso quodlibet. Sarebbe piaciuto a Hegel il sistema minimale di Johansson.

AAA proposito. Sto parlando poco di Hegel. Era prevedibile. C'è poco da dire su Hegel dal punto di vista scientifico. Anche dal punto di vista filosofico, pensava Wittgenstein. (Ma questa forse è una vecchia incompatibilità tra Austria e Germania.)

Tuttavia, la questione non si può sbrigare così in fretta. Hegel, inteso come luogo del falso della cultura europea, ha prodotto effetti di cui dobbiamo essere consapevoli, se vogliamo riconoscerci europei. Alla pagina

"Hegel falso maestro"

ne accenno a uno soltanto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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